PICCOLA COLAZIONE (Garzanti, 1987, 3° ed. 1994)   
                    ISBN 88-11-63950-6  
                  www.unilibro.it
                   
                    Piccola colazione (1974-1986) 
                  per Laura e Giulia 
                    
                   
                   
                  «Il vuoto è una stoffa dipinta di parole. Le parole tingono il vuoto e, come una seta, imprimono colori e figure eleganti e, così ricoprendolo, si fissano poco alla volta, fino a quando rimangono, ormai esse sole, indelebili». 
                  Yukio Mishima 
                  «Per il fatto stesso che si parla, ciascuna cosa non è quella che è. Il simbolo è l’assassino della cosa». 
                  Jacques Lacan 
                    
                    
                  La parola, per me, 
                    veniva da distante. 
                    Un a priori, quasi, 
                    l’avvertivo. Un eccitante. 
                    In un processo in 
                    qualche modo inverso. 
                    Nel darle per riscontro 
                    una realtà che invece, 
                    più toccata e presa, più 
                    sfuggiva inconsistente 
                    ai cinque sensi. 
                    Con l’effetto di essere 
                    lanciata contro un corpo 
                    pronunciato e, nel 
                    suo dirlo, di colpo 
                    riafferrato. 
                    
                  Malaria
                    
                  «Qual è più caro, il nome o il corpo?» 
                    Lao-tzû 
                  «Il più alto grado di presenza è l’assenza». 
                    Walter Benjamin 
                  «Troppo comodo 
                    fare quello che piace 
                    e che si vuole». 
                    
                  La scatola di latta 
  è tonda e ruota, 
                    una parte sull’altra. 
                    Si può odorarla, vuota, 
                    e leccarla, quando 
                    la liquerizia è terminata. 
                    
                  mela arancia susina 
                    mela arancia susina 
                    
                  … da dove saltano 
                    fuori, i sogni, 
                    vesti e contorni 
                    al mostro, alla pazzia: 
                    frullati, puzzle con 
                    i tasselli fuori posto, 
                    come uccelli colorati 
                    o pipistrelli 
                    staccatisi di colpo 
                    dall’albero blu inchiostro. 
                    
                  «Dev’essere un accordo 
                    dei grandi, 
                    per dispetto o gelosia». 
                    
                  Sulla torre del castello 
                    inespugnabile, sicura 
                    da cui si tiene il resto 
                    sotto mira. Un regno 
                    piccolo ma certo, per 
                    il tempo almeno in cui 
                    la porta è chiusa a chiave. 
                    
                  (Scruta, salito 
                    sul bordo della vasca 
                    in bilico, svestito, 
                    indaga sullo specchio 
                    la forma o una ragione 
                    di tanto desiderio.) 
                    
                  pesa il passo e posa piano 
                    lancia il sasso con la mano 
                    ferma adesso o vai lontano 
                    
                  «Mia madre dice che 
                    posso togliermi tutto». 
  «La mia, non più dei 
                    pantaloni e della maglia». 
                    
                  (Vedersi, essere 
                    visto. Metterlo a nudo. 
                    Tenerlo, se deve essere 
                    tenuto. Ma gli pare 
                    che si debba cercare poi 
                    qualche altra cosa…) 
                    
                  Rosso. Di febbre, di 
                    sangue. Dentro al fuoco. 
                    Di unghie e labbra. 
                    Di cappe e di bandiere 
                    Di gente senzadio. 
                    
                  Non sommergibile, «Io», 
                    in rotta per i mari. 
  «Tutti sottocoperta, 
                    chiudere i boccaporti. 
                    Immersione rapida». 
                    Lo spazio circoscritto 
                    la sacca degli odori 
                    l’ombra del letto. 
                    
                  «… cuore, desco, nido 
                    gnomo, soma, tetto». 
                    
                  Ancora. Esatta 
                    la secca tiritera 
                    parola per parola. 
                    Specchio, ritratto 
                    analogia, prova 
                    che c’è, sotto, la cosa: 
                    quel che sempre sarà 
                    e sempre è stato, 
                    non dovunque e 
                    come sia. Dettato. 
                    
                  … sul Libro dei 
                    Libri Famosi, 
                    nell’enciclopedia. 
                    
                  «… ha i colori 
                    del fuoco, della neve 
                    e del prato». 
                    
                  «Dai, paga il pegno. 
                    Dire, fare, baciare, 
                    lettera o testamento?». 
                    
                  (Non è che smetta 
                    anzi, a rifarlo, gli 
                    sembra anche più bello. 
                    Però, ha il dubbio 
                    che se resta magro 
  è proprio per quello.) 
                    
                  «Più vai veloce e 
                    più, vedrai, ti piace». 
                    
                  … che una parola 
                    debba avere un sesso  
                    e una persona (maschile 
                    se finisce in a!). Ma 
                    incomprensibile di più 
                    lo stato di mancanza 
                    di assenza, insomma 
                    la parvenza negata 
                    in un concetto neppure 
                    rifiutato, inconcepibile, 
                    del niente a formularlo e  
                    lo stupore poi di seguito 
                    a pronunciarlo. 
                    
                  «La sua, dov’è? 
                    Da cosa è fatta?». 
                    
                  (A lui il gusto, solo, 
                    di essere preso. E 
                    il pensiero che è  
                    ingiusto e svantaggioso, 
                    e non tanto per lei 
                    in fondo, se non ce l’ha.) 
                    
                  «Lo imparerai, quando 
                    sarai più grande». 
                    
                  Visto in segreto e detto 
                    al chiuso, in ombra 
                    bisbigli, incerti 
                    i margini, mai esatti 
                    indizi di segnali 
                    colti, strappati 
                    in fretta e furia 
                    a sillabe, per paura 
                    di essere scoperti 
                    prima di scoprire 
                    centimetri quadrati 
                    di anfratti, di peluria. 
                  una rana nera e rara 
                    sulla rena errò una sera 
                    
                  Paura che un vetro venga rotto 
                    che il sale vada sparso 
                    che si rovesci l’acqua mentre bolle 
                    che una zingara entri in casa 
                    che cada il fiasco d’olio 
                    che si rovini la salute. 
                    Paura di restare al buio 
                    di trovare in casa un assassino 
                    di cavarsi un occhio su una punta 
                    di non essere promosso 
                    di cadere in un burrone 
                    di finire dentro a un lago 
                    di annegare, di essere schiacciato. 
                    
                  «… l’hai detto, 
                    Già se l’hai pensato, 
                    che non sia stato, 
                    non conta più». 
                    
                  «Ci stai allora? 
                    Dai, parliamo male». 
  «Dobbiamo dire 
                    tutte parolacce». 
                    
                  Detti e guardati 
                    sopra il dizionario. 
                    Ammessi, dunque, o 
                    non del tutto ignorati. 
                    E gli altri, sinonimi 
                    più amorfi e grigi, 
                    almeno registrati. 
                    
                  «Si mettono così, 
                    l’uno sull’altra». 
                    
                  (Sdraiato, a letto, 
                    per l’ennesima prova 
                    generale col cuscino. 
                    Febbrile e ansante 
                    baciandolo, abbracciato.) 
                    
                  Contro lo specchio 
                    rispetto a un altro, 
                    piccolo, che scende e 
                    sale, a controllare 
                    qual è l’effetto 
                    di una diversa visuale. 
                    
                  «Non devi stare 
                    con certi mascalzoni». 
                    
                  Che sia davvero 
                    proprio il tranello, 
                    quello per tentarti 
                    per farti cadere 
                    e, preso nella rete, 
                    condannato in eterno 
                    tra urli e grida 
                    nel lago, nella fossa 
                    in mezzo al fuoco. 
                    
                  «Ciò che è confessato 
  è tolto. E resti libero 
                    una volta assolto». 
                    
                  (Lo tormenta, a un 
                    tratto, l’idea sgomenta 
                    di non rispondere affatto 
                    al modello di purezza 
                    cui l’hanno abituato.) 
                    
                  … che esca fuori 
                    una bestemmia 
                    senza volerlo, e 
                    che si formi in testa 
                    per un innesco 
                    incontrollato. 
                    
                  Ma, sì, chi è stato 
                    ai sette primi venerdì 
                    del mese, preghiere 
                    e litanie per ogni sera, 
                    qualunque cosa ha fatto 
                    e che continua a fare 
                    di sicuro è salvo. 
                    
                  «Intanto, dappertutto 
                    Dio ti vede». 
                    
                  (Punta là, senza 
                    saperlo. È attratto 
                    per istinto, risucchiata 
                    la sua mano, intanto, 
                    a quel convesso 
                    senza appiglio.) 
                    
                  «Lo dico a tua madre 
                    che mi tocchi». 
                    
                  … che accada e 
                    non importa come, 
                    che finalmente 
                    sia tolta ogni riserva 
                    e, costi quel che costi, 
                    si abbia il seguito. 
                    Nonostante l’idea 
                    magari di disgusto, 
                    anche nel sangue 
                    nel puzzo e nel sudore. 
                    
                  «Piace anche a lei, 
                    che credi, se lo aspetta». 
                    
                  Da consumarsi al buio  
                    al chiuso della stanza 
                    in fretta, senza che si veda o 
                    che si senta, di nascosto 
                    di straforo, a danno 
                    di qualcuno, come offesa 
                    nel rischio e con vergogna 
                    violando, più che 
                    si possa, la consegna. 
                    
                  … ed è, risulta 
                    inconsistente, 
                    quanto più detto 
                    ordinato e richiesto, 
                    contro lo stare 
                    fermo e sordo, questo 
                    sì eccome imperioso e urgente, 
                    del suo nome. 
                    
                  Di nuovo ripetuto 
                    tra sé o a voce alta 
                    riscritto in lunghe 
                    file sui quaderni, 
                    in piccolo e più grande 
                    corsivo o stampatello 
                    in alfabeto greco 
                    con la grafia più antica 
                    disegnato, perfino 
                    cesellato. Sempre quello. 
                    
                  «A una cui vuoi bene 
                    non lo fai». 
                    
                  Che sia dannata, sì, 
                    e impura e lurida 
                    perduta… ma destinata 
                    a spegnere una sete  
                    appetitosa e, proprio 
                    per questa cosa, 
                    dolorosamente desiderata. 
                    
                  (Il sogno suo è di 
                    perdersi, di cadere tra 
                    le mani di una donna 
                    senza scrupoli.) 
                    
                  «Si fanno fare 
                    quello che ti pare». 
                    
                  Da compitare, legato 
                    a un altro, spingendo 
                    sui contorni, a voce quasi 
                    spenta, smozzicata 
                    sotto ai denti come 
                    sotto la sottana, 
                    il soffio disperato 
                    di… puttana. 
                    
                    
                  Fu vera gloria?
                    
                  «La forma della casa è il percorso di un destino. Bunker, fortilizio,  
                    labirinto decoroso: le tipologie, insieme,della guerra e della corte.  
                    Carcerati e carcerieri spiano il mondo.  dalle feritoie, e se  
                    lo rappresentano nel sogno». 
                    Anonimo 
                  «L’unica verità che la gente accetti è quella presentata già  
                    come digerita e manipolata, rimpicciolita e decorata». 
                    Hermann Hesse 
                  «Ma come, via… Non 
                    danno proprio niente». 
                    
                  «… anche per oggi 
                    abbiamo terminato. 
                    Buone notte». 
                    
                  Sì, la splendida cromia 
             del video, 
                    il dolce stare alla ventura 
                    a prendere, sorbire, a degustare 
                    i morbidi dessert. 
                    A cogliersi la vita 
     già condita, 
                    così, premasticata e digerita. 
                    Per consegnarsi al gioco 
                    delle pose, al neutro moto 
                    patinato 
                    in cui 
                    più niente esiste veramente, 
                    in una lontananza 
    che intrattiene 
                    ma per quel tanto solo 
                    che uno sia sfiorato. 
                    La stessa predisposta fantasia, 
                    fuori di sé, covata 
                    si ipnotizza, si dissolve. 
                    Più non trattiene 
   l’acqua 
  è un fiotto che dilaga 
                    che affoga, che si ingoia. 
                    
                  «Alla tua età, io non 
                    l’avevo, il tempo 
                    per la noia». 
                    
                  Il salotto 
  è stile inglese. 
                    Frange e fiocchi 
                    dappertutto. Cocci 
                    sui piani, stampe 
                    di fiori e di castelli. 
                    
                  (Dì sé, predilige 
                    le mani. 
                    Gli piace guardarle, 
                    fingendosi di fronte. 
                    Abbandonate e esili 
                    quasi femminili.) 
                    
                  «Con tutti i tuoi progetti strani… 
                    Ma tirali, alla fine, i fili, 
                    di quello che vuoi fare». 
                    
                  Appena oltre la riva 
                    a pelo d’acqua 
                    emerge e non emerge 
                    pare e non pare. 
                    Lasciandoci nel dubbio 
                    se esista per davvero 
                    o sia un inganno 
                    un alibi, un pretesto 
                    il resto di una 
                    storia mai avviata 
                    la noce putrefatta 
                    di un aborto. 
                    
                  «Qualunque cosa dica, 
                    ho sempre torto…». 
                    
                  (Sarà per l’indole 
                    scettica e insofferente, 
                    per la pigrizia e per la levità 
                    per un’astuzia riduttiva 
                    magari per capriccio, 
                    del resto aspetti nobili, segni 
                    d’apertura contemplativa, 
                    ma si sottrae se può 
                    felice volentieri 
                    all’uso di parole, 
                    dietro l’alone e il fumo 
                    che lasciano i pensieri.) 
                    
                  «… è stato ucciso 
                    in strada, sotto casa, 
                    da due giovani 
                    scappati su un motore». 
                    
                  «Ma guarda lì, che 
                    roba. Che vigliacchi». 
  «Ogni giorno così. 
                    Passami i piatti». 
                    
                  «Pronto. Chi è? 
                    Non c’è. Non è tornato». 
                    
                  (Fa un certo che… 
                    ma quando sta mangiando, 
                    se non ci sono morti 
                    catastrofi e disastri, 
                    ebbene sì lo ammette 
                    a lui dispiace.) 
                    
                  «Quei soldi, allora 
                    Hai chiesto? Te li danno». 
                  Il tavolo occupa 
                    il tinello: 
                    c’è posto appena 
                    per le sedie. 
                    E c’è un carrello 
                    con il televisore. 
                    
                  «Se te la prendi, vedi 
                    la colpa è solo tua». 
                    
                  (Si accorge con piacere 
                    che è ancora e che sarà 
                    quello che era, di nuovo 
                    sempre uguale: lui bambino 
                    che pesta i piedi 
                    e grida: «No, non vale!».) 
                    
                  «Magari, tu ci credi. 
                    Ma, poi… uno si pente». 
                    
                  I colpi secchi, 
                    il suono che si sente 
                    della sveglia 
                    a scandire il rito 
                    del pulito, nel chiuso 
                    ordinato dalle porte 
                    nel buio, dentro,  
                    nel privato. 
                    
                  «Ma si figuri. Pronto! 
                    Anzi… No, l’ho avuto. 
                    Non è un disturbo affatto». 
                    
                  Il gusto dello scoppio, 
                    il cedimento e l’abbandono 
                    dopo aver tenuto, 
                    la fuga quasi da sé. 
                    La tecnica sottile 
                    l’arte, addirittura, 
                    dello starnuto… 
                    
                  (A lui, i bambini 
                    un po’ dispiacciono. 
                    Li pensa sempre 
                    sporchi e puzzolenti, 
                    piccoli mostri 
                    che toccano e rovinano.) 
                    
                  «È dura, senti. Ma non 
                    lo vuoi capire?». 
                    
                  … con l’eco che, 
                    a raccolta, li chiama 
                    sulla scena. 
                    Figure nell’opaco, 
                    fantasmi sgonfi 
                    con plaid, pantofole 
                    e borse d’acqua calda. 
                    
                  «Delinquenti. Da 
                    rinchiudere per sempre 
                    o da ammazzare». 
                    
                  (Ne ha uccisi tanti 
                    col pensiero. 
                    Ha gridato: «Porco, 
                    ti sta bene». 
  È l’assassino, se 
                    ne vanta, l’aguzzino 
                    dei suoi nemici. 
                    Senza che si perda 
                    un dito della stima 
                    che riserva tenace 
                    sulla sua vita.) 
                    
                  «… ma senza esagerare. 
                    Per non esserne scottato». 
                    
                  La camera da letto 
  è in stile chippendale, 
                    con il comò 
                    e le poltroncine. 
                    Ha una toilette 
                    e un grande armadio. 
                    
                  «Che cosa hai in mente? 
                    Dillo, per favore». 
                    
                  Di lieti boschi, qui, 
                    solo un contorno, di siepi 
                    il segno, alle pareti. 
                    Nel circoscritto spazio 
            presi 
                    dentro, nel buio anfratto. 
                    Arresa 
             gonfiata enormità 
                    che avvolge e impasta 
                    turgida polpa, 
          crema 
                    frolla che spande caldo afrore, 
                    umore giù dal groppo 
                    che gorgoglia. Il pieno 
                    che si svuota. Ampolla 
            plafoniera 
                    che pende e che consiste 
                    che cede e in sé ritira. 
                    Vasca di panna soffice 
                    molle polipo 
         cascata. 
                    
                  (Sarà che lui da piccolo 
                    sognava culi, e ventri 
                    e seni dilatati, 
                    ed era bravo a disegnarli 
                    e lo cercavano per questo. 
                    Per lui valevano da soli, 
                    senza il resto di un corpo 
                    o di una testa.) 
                    
                  … i lati, le caselle, 
                    nel regno, nell’ordito 
                    di gabbia, di scacchiera. 
                    Ferve l’incanto 
                    sul filo più sospeso, 
                    sulla cresta del nido 
                    della corte. Per la cura 
                    di serve e di puttane. 
                    
                  «Così, stai ferma. 
  È un attimo soltanto». 
  «Mi lasci, su. Che fa? 
                    Guardi che grido». 
  «Dovresti ringraziarmi 
                    per quello che ti insegno». 
  «Oddio. Ma che succede, 
                    se sente la signora…». 
                    
                  IL bagno è stretto, 
                    con uno specchio 
                    ad armadietto 
                    e il lavandino sul bidè. 
                    E, tra la vasca e 
                    la finestra, la lavatrice 
                    e una scarpiera. 
                    
                  «Non ci pensare. Datti 
                    più da fare. Così ti resta 
                    sempre qualcosa  
                    a cui ti puoi attaccare». 
                    
                  (Però gli pare che 
                    alle donne piacciono 
                    se sono mascalzoni, 
                    e solo con quelli 
                    perdono la testa. 
                    Che gli altri, pronti, 
                    neppure a un cenno, 
                    alle intenzioni 
                    contino infine 
                    come soluzioni.) 
                    
                  «Ma apriti con noi. 
                    Cosa ti manca? Lascia 
                    che ti consiglino 
                    i tuoi cari». 
                    
                  … sì, di quei lampi 
                    lividi, che si propagano 
                    come capillari 
                    sulla pelle bianca. 
                    
                  La credenza e i pensili  
                    di finto legno 
                    alla parete, nella strettoia 
                    della cucina. Con il lavello 
                    sotto la finestra 
                    e il frigidaire che occupa 
                    un terzo della porta. 
                    
                  «Il tempo passa in fretta. 
                    E tutto… Pronto! Invecchia…». 
                    
                  La fetta del melone 
                    quasi si scioglie: 
  è piena, fatta 
                    al punto che si deve. 
                    Lascia che slitti 
                    sulla lingua, 
                    pensandoti frattanto 
                    in tutta crudeltà 
                    al posto di comando. 
                    
                  (Ama un’idea di sé, 
                    vive di quella 
                    e delle sue invenzioni. 
                    Dei suoi fantasmi, 
                    della sua gloria.) 
                    
                  «Per te, lo so, 
                    non conta, non è stato. 
                    Con quel che abbiamo 
                    lavorato, io e tuo padre». 
                    
                  (Riservato e un po’ introverso 
                    inappuntabile, a vederlo, 
                    ossequiente di ogni autorità. 
                    Lui che risponde serio: 
  «Ma si figuri, per carità». 
                    Elegante, sì, e gentile 
                    molto discreto sempre 
                    accolto ovunque con favore. 
                    Sia pure ma… lontano 
                    fuori scena, lui si sente, 
                    neppure poi in agguato 
                    e più in difesa, quasi 
                    del tutto assente.) 
                    
                    
                  Per amore o per forza
                  «Il primo amore, sì, può essere l’ultimo, Signora Napier». 
                    «Ti sbagli. No, mia cara, non è così». 
                    Ivy Compton-Burnett 
                  «Solo il tiranno parla d’amore». 
                    Norman O. Brown 
                  «Sei arrivato, finalmente. 
                    Come mai? Dove sei stato?». 
                    
                  (E non gli serve 
                    tenersi più occupato. 
                    Non riempie il vuoto 
                    un gesto, e appena 
                    lo può fare o solo 
                    corrugarne di ombre 
                    il falsopiano, il nome 
                    dell’assenza: l’oggetto, 
                    nel frattempo, delirato.) 
                    
                  «È inutile, perché 
                    non vuoi capire». 
  «Quello di una madre 
  è il solo a non finire». 
                    
                  «Si sente, a un tratto, uno… 
                    così, fuori di sé». 
                    
                  Fermo, sotto cristallo, nudo 
                    cova l’attesa 
               secco 
                    crudo gelo di distacco 
                    guscio che cela il tenero 
                    lastra blocco che, 
         intanto, 
                    crepa.     Ecco, 
                    non più paralizzante. 
                    Goccia dopo goccia, perde 
                    si fa rivolo 
         torrente. 
                    E, intorno, a distesa 
                    gonfia, scoppia, si confonde 
                    e dai tagli 
       versa 
                    della ferita sanguinante. 
                    In movimento, in corsa 
                    colmo fino all’orlo 
                    trabocca, incontenuto, 
                   spande. 
                    
                  “Dirà che non è vero, 
                    che le era sembrato. 
                    Che ha sbagliato”. 
                    
                  «Non stai più a casa. 
                    Come sei cambiato…». 
                    
                  “Perché me, poi? 
                    Perché gli piaccio, spero”. 
                    
                  … e non ci sono 
                    scuse, non c’è 
                    rimedio vero. 
                    
                  La stanza è stretta 
                    e lunga, 
                    con le persiane 
                    sempre chiuse. 
                    
                  «Ti piaccio, allora io? 
                    Dimmelo ancora». 
                    
                  E pur incerto batte, 
                    fedele, le sue rotte. 
                    Incespicando al buio 
                    in mezzo a fumi e nebbie, 
                    senza sapere niente 
                    dell’oggi e del domani. 
  È fatto di richiami, 
                    di gridi e di segnali 
                    che ci si lancia andando 
                    come i salvagente. 
                    
                  «E non ti stancherai 
                    di me? Neppure quando…». 
                    
                  (Non si abbandona, no. 
                    Sempre, è presente, 
                    e chiama entrambi 
                    alla pronuncia continua 
                    di conferme.) 
                    
                  La lampada a muro 
  è fioca: le ombre 
                    si allontanano 
                    le une dalle altre. 
                    
                  «Abbracciami. Dai, 
                    stringimi forte». 
                    
                  A ciò che instabile 
                    trascorre, precipita di là 
                    oltre il versante 
                    e schioda, rompe i margini 
                    confonde e impasta 
                    in uno stesso magma 
                 indifferente, 
                    a ciò che a poco 
                    o a niente basta per sé 
                    per un esatto stato 
                 e ruolo di persona, 
                    che non ha spazio e tempo 
                    che non ha storia 
                    se non di un passo 
                   di breve volo, 
                    si oppone l’incrollabile 
                    il solo impegno 
                  la certezza 
                    di cosa non saputa 
                  non veduta. 
                    
                  … sentire di appartenere 
                    a qualcun altro, e che 
                    qualcuno ti appartiene 
                    per sempre, in esclusiva. 
                    
                  Un desiderio di durata 
                    di tenuta, a tutti i 
                    costi, di resistenza 
                    premeditata al vuoto. 
                    
                  “Ma perché, intanto, 
                    interessarsi a me… 
                    Cos’ho? Che valgo? 
                    Che non trovasse di meglio 
                    in qualcun altro”. 
                    
                  Libri a terra, sparsi 
                    e pile di quaderni 
                    dietro la tenda 
                    contro il muro. 
                    
                  «Staremo sempre insieme. 
                    E ci diremo tutto». 
                    
                  Lo stato di servaggio: 
                    una specie di cintura 
                    cui si tende, tanto o poco, 
                    cui si aspira per paura. 
                    Che si impone, proprio 
                    mentre si subisce. 
                    
                  “Testa, se fa sul serio. 
                    Se mi vorrà per sempre. 
                    Croce, se è solo un gioco 
                    che finirà”. 
                    
                  … un dubbio, a 
                    tradimento, 
                    ti colpisce. 
                    
                  “Ma sì, vedrai, 
                    mi lascerà. 
                    Ė questione di tempo: 
                    quando si sarà tolto, 
                    finalmente, la voglia”. 
                    
                  La libreria 
                    ingombra lo stanzino 
                    e, contro la finestra, 
                    forma una nicchia 
                    per metà nascosta. 
                    
                  (Diventano, per lui, 
                    mitologia. Gli inneschi 
                    di un destino che, 
                    di continuo pensa 
                    con timore, poteva 
                    non aver risposta.) 
                    
                  «Mi prendi in giro? 
                    E, allora, quanto?». 
  «Tanto, sì. Di più. 
                    Infinitamente. Da morire». 
                    
                  Nell’uso suo corrente, 
                    si misura a ore. 
                    Eppure, va a finire 
                    che se ne dà un valore 
                    indefinito, di tesoro, 
                    di spazio d’anni luce… 
                    
                  … ancora 
                    mi nascondo 
                    dietro il muro 
                    di luce, frutto 
                    del sogno. 
                    
                  «Tu sei diverso, 
                    unico al mondo». 
                    
                  Chiamato in causa 
                    tenuto, inafferrabile, 
                    goduto, declamato 
                    nel suo essere tutto. 
                    
                  «Così non vale. 
                    Non ti rispondo». 
  «Ma se dovessi 
                    scegliere davvero…». 
                    
                  Il vecchio parquet 
                    del pavimento 
                    odora di lucido 
                    e crepita in continuazione, 
                    ad ogni movimento. 
                    
                  «Se sentono di là… 
                    Aspetta. Dai, ho paura». 
                    
                  Insieme. Tenendosi piano 
                    sul corpo svelato 
                    al tatto, al gusto 
                 violato 
                    dall’occhio, da mano. 
                    Un senso perduto 
                 ripreso, 
                    in lenta caduta 
                    di peso, si lascia 
                 di volta 
                    in volta, si piega 
                    si rende al suo volo. 
                    Nel fondo, nel morso 
                  distesi 
                    slittati, confusi 
                    arresi alla stretta cintura. 
                    
                  Bellezza, sì lo so, 
                    tu sola esisti. 
                    
                  (Eppure, la cancella. 
                    Vorrebbe che non fosse 
                    la cosa che di più 
                    lo attira in lei.) 
                    
                  «Ma cosa pensi, tu, 
                    di me, poi, veramente?». 
                    
                  (Rimane sconcertato 
                    di fronte alla pretesa 
                    di avere in sé presenti 
                    i suoi pensieri. 
                    Teme di non essere 
                    del tutto ricambiato, 
                    che lei trascuri 
                    la più assoluta dedizione.) 
                    
                  Lo stuoino di corda 
  è tra la sedia 
                    e i piedi del tavolino, 
                    fin sotto ai tubi 
                    del radiatore. 
                    
                  «Cos’è che hai? 
                    Non vuoi? Non ti va più?». 
                    
                  Avviene di sovente 
                    per norma o per errore 
                    che ogni essere vivente 
                    in stato di accadere 
                    sia condizionato 
                    nelle sue funzioni 
                    dalle sensazioni 
                    di dolore o di piacere. 
                    
                  «Niente, ti dico, 
                    Non è che mi rifiuto». 
  «Ma non rispondi… 
                    Vedi, resti muto». 
                  “È incredibile, però 
                    mi sento sollevato 
                    appena uscito, 
                    appena l’ho lasciata”. 
                    
                  (Lo incalza l’ansia 
                    di stare alla presenza 
                    del corpo amato 
                    ma, dopo averlo visto 
                    e più e più toccato, è 
                    con dispetto costretto 
                    a riconoscersi saziato 
                    e già con il pensiero 
  è scivolato 
                    all’atto di lasciarlo 
                    per essere di nuovo 
                    sul punto di trovarlo.) 
                    
                  “Strano, eppure 
  è vero il sollievo 
                    che provo, per un po’, 
                    appena se ne è andato”. 
                    
                  … così, aperta 
                    gonfia, illividita, 
                    anche se non più 
                    del tutto sanguinante, 
                    la ferita. 
                    
                  La parete trasuda 
                    umidità: 
  è tutta ruvida 
                    di croste 
                    che fanno sollevare 
                    i quadri. 
                    
                  «Dai, metti la tua 
                    nella mia mano». 
  «Eccola, presa nel  
                    laccio che la tiene». 
  «Giura che mai, per 
                    nessun’altra, la lascerai». 
                    
                    
                  L’assedio di Costantinopoli
                    
                  «Pensate che vi nasconda qualcosa, o miei discepoli… Ma non  
                    c’è nulla ch’io non dica, in verità». 
                    Confucio 
                  «Ho avuto cattivi maestri. È stata una buona scuola». 
                    Arnfrid Astel 
                  … l’orrida caverna, 
                    piena di buio 
                    di punture agli occhi, 
                    della nostra incertezza 
                    sui bersagli. 
                    
                  Un orizzonte aperto 
                    che non tocchi, 
                    di cui ti sfugge 
                    il giro e la distanza. 
                    
                  «Oltre le terre note 
                    pensavano che fosse 
                    la sede del popolo 
                    beato…». 
                    
                  Ci hanno già provato, 
                    col vino con le risse 
                    con l’amore. 
                    Ma si consumano di inedia: 
                    non lasciano 
                    il confine della stanza 
                    non passano le porte, 
                    per accidia per timore 
                    o noncuranza. 
                    
                  (… che gli riesca 
                    di rendere a parole 
                    lo stato di attesa 
                    e di mancanza, 
                    che abbia un rilievo 
                    sia pure nell’assenza 
                    ciò di cui si teme, ogni 
                    momento, l’inconsistenza.) 
                    
                  In tanti, muoversi 
                    ma ognuno per suo conto 
                    fino a notte 
                    sulle carte sulle rotte… 
                    affrettare il passo 
                verso l’alto 
                    al traguardo, a chi arriva 
                    prima sulla vetta. 
                    Ma dalla cima 
                in basso 
                    offusca la veduta 
                    una caligine sottile. 
                  In nero logoro, 
                    le mani un po’ lunari 
                    aggrappate al suo bastone, 
                    il vecchio il santo 
                    il maestro di pensiero 
                    attorniato dalla corte 
                    di muti maggiordomi 
                    di prelati che 
                    gli fanno il controcanto. 
                    
                  (Qua, si rende 
                    conto, non è venuto 
                    tanto per l’università. 
                    Ė un’altra idea, in fondo, 
                    di spazio e tempo, 
                    un ribaltamento 
                    del passato 
                    La curiosità. Qualcosa 
                    che magari, di lì a poco, 
                    se anche lo lascia 
                    per ora stupefatto, 
                    poi si perderà.) 
                    
                  L’ingresso è un lungo 
                    scatolone. 
                    La poca luce 
                    gli viene dal cortile. 
                    Ė tappezzato, il muro, 
                    di disegni: teste 
                    del Che e stelle 
                    a cinque punte 
                    e, ripetuto, con vernici 
                    rosse e nere: 
                    NEL CUORE DEL POTERE. 
                    
                  «… di tutti conosciamo 
                    lo sviluppo. 
                    Solo quello di Nausicaa 
                    resta incerto. 
                    Di lei sappiamo, solo, 
                    che era vergine. 
                    Ma durerà? L’amore o 
                    il caso o la ragion di stato…». 
                    
                  Mentre pronuncia 
                    a piena voce 
                    le ben studiate formule 
                    la sua lezione 
                    e alza l’indice 
                    e modula ridendo 
                    dalla parte, presume, 
                    della ragione. 
                    
                  (Paura di ciò che attende 
                    ma non per sé da solo, 
                    per lei… che poi 
                    l’incontro con la realtà 
                    non muti e adulteri 
                    la loro unione o che, 
                    magari, le consegni di sé 
                    un’immagine inferiore. 
                    E, ancora, gelosia 
                    che lei si esponga. 
                    Tacendo, ambiguamente, 
                    l’intenzione 
                    di scegliere per lei.) 
                    
                  La scala è ampia e buia. 
                    In giallo ocra denso 
                    a macchie d’umido, 
                    istoriato variamente: 
                    IL POPOLO IN ASCESA, 
                    BASTA CON LA BIBLIOGRAFIA, 
                    OPERAI E STUDENTI, 
                    MORTE AGLI AVARI 
                    MANDARINI DELLA BORGHESIA. 
                    
                  L’idea, ripresa, di 
                    dare ordine la mondo 
                    di insistere, alla 
                    ricerca del segreto. 
                    Che sia soltanto 
                    questione di pazienza. 
                    Ma ci risparmi 
                    una fatica… 
                    La pretesa 
                    di chiedere conto 
                    ai libri, alle scritture. 
                    
                  Muri spessi di volumi 
                    e polvere e assestarsi 
                    di legni, 
                 intorno. 
                    Voci e passi, in basso 
                    al tavolo 
                 sospesi, 
                    fruscio di pagine 
                    e gomiti e bottoni. 
                    Rumore in lontananza 
                trattenuto 
                    respinto fuori 
                    da barriere di carta 
                    filtro di velluto. 
                    Flussi, correnti di energia 
                    da un polo all’altro 
                    rimbalzando dalle pagine 
                    ai corpi chini sui ripiani. 
                    A piombo 
                 in bilico 
                    a pescare, su plichi 
                    elenchi rendiconti 
                    di un mondo concentrato 
                    chiuso in scatola 
                    spremuto, distillato. 
                    Tutto bloccato 
                    o in lieve movimento 
                    di alghe e pesci 
                nell’acquario, 
                    fino al tonfo del libro 
                    al crollo della sedia 
                    allo starnuto. 
                    
                  … nonostante lo sforzo 
                    che c’è stato, ad 
                    ogni passo, violando 
                    le ragioni, spazzando via 
                    le prese più sicure, 
                    non resti niente. 
  È tutto cancellato. 
                    
                  Amor che a nullo 
                  amato amar perdona… 
                    Ma non dà conto 
                    non appartiene, non  
                    funziona, se non 
                    come rumore 
                    e suono puro 
                    che non rileva altro 
                    e dà piacere 
                    nel pronunciarlo a sé 
                    nel triturarlo 
                    tra le labbra. 
                    E… la memoria 
                    cede, viene meno.
                    
                  (Gli capita, gli è già 
                    accaduto, di credersi 
                    o solo di sperarsi 
                    uno scrittore. 
  È cauto e irrigidito 
                    in questa esplorazione: 
                    si ausculta e, mentre 
                    aspetta, teme. Sì, 
                    ha paura del responso.) 
                    
                  «… che sia un errore, 
                    e sbagli, dunque, a ritenerla 
                    l’unica espressione». 
                    
                  È un attestarsi 
                    qui, del resto 
                    come altrove, 
                    sopra i dettagli. 
                    
                  La sala è stretta 
                    e sobbalza ogni volta 
                    allo scatto della porta. 
  È un corridoio 
                    diviso in stanze, 
                    con le finestre 
                    al pavimento. 
                    
                  «… da questi 
                    ras di regni minimi 
                    coi loro harem 
                    scribi e pretoriani». 
                    
                  … stretta oramai 
                    da tutti i lati, 
                    ridotta a poche miglia. 
                    Venne investita 
                    per terra per mare 
                    da orde innumerabili 
                    da una flottiglia… 
                    
                  Non era il corridoio, 
                    il collo di bottiglia 
                    delle Termopili. 
                    
                  Mani che serrano 
                  una gola livida, 
                    invano palpitante. 
                    Sugli occhi, da una parte, 
                    torri e cupole dorate 
                    oltre le mura. 
                    Dall’altra… 
                    
                  Niente ricordi, 
                    no, senza parole 
                    di fronte alla paura. 
                    
                  La caduta. L’assedio 
                    di Costantinopoli. 
                    
                  L’idea, a tratti, 
                    che conti quello che 
  è già stato, il resto 
                    dei tempi, l’ordine 
                    più apparente che… 
                    il risultato: 
                    arrendersi alle cose 
                    come sono, al 
                    loro inerte moto, per 
                    reggerne e coprirne, 
                    almeno, il vuoto. 
                    
                  «Sopra la luna 
  è il regno del divino 
                    e, sotto, quello 
                    umano e demoniaco. 
                    Dall’etere alla terra 
                    il corpo si fa 
                    sempre più pesante». 
                    
                  (Non crede, in fondo, 
                    al taglio netto. 
                    La negazione gli va bene 
                    finché sa scegliere. 
                    Ma i limiti richiesti, 
                    le bende agli occhi 
                    e alla memoria… 
                    Non può coinvolgerlo 
                    l’azione che pretende 
                    di illuminare il mondo 
                    e finge e tace per una 
                    verità presunta, 
                    per la fede.) 
                    
                  Il grande corridoio 
                    non prende luce. 
                    Ha neon e panche 
                    lungo le pareti 
                    e bassi termosifoni. 
                    Scritte di vernice 
                    tutt’intorno, 
                    su cui campeggia: 
                    NON GREGARI MA 
                    SOGGETTI DELLA STORIA. 
                    
                  «Occupazioni principali, 
                    magari non ci avete 
                    mai pensato, di tutti 
                    gli ordini sacerdotali 
                    erano, sì, ogni giorno 
                    di preparare il pranzo 
                    per gli dei 
                    e poi mangiarlo». 
                    
                  Ridurre assottigliarlo, 
                    in progressivo affinamento 
                    e poi lasciarlo andare 
                    a fondo, bancarotta 
                    e così sia. Ma… 
                    non è, poi, la via, no, 
                    neppure questa. 
                    
                  (Teme che, restando 
                    in posizione di difesa 
                    di fronte a molte cose, 
                    non si riesca a dirle 
                    per ciò che sono 
                    e che si possa farlo 
                    in modo certo 
                    solo lasciando, tra sé 
                    e loro, il campo aperto.) 
                    
                    
                 Prodotti notevoli
                  «… sì, le sublimi massime promuovono alla vita» 
                    il Ministro della Pubblica Istruzione 
                  «Non siamo noi che riusciamo a cambiare le cose conforme  
                    al nostro desiderio, poco a poco è il nostro desiderio che muta». 
                   Marcel Proust 
                    
                  «Sta’ attenta. Cammina, 
                    non perdere tempo. 
                    Hai fatto i compiti? 
                    Finito di studiare?». 
  «E poi…» 
  «Non andare in giro. 
                    Non fare l’oca». 
  «Uffa». 
  «Non comportarti male». 
                    
                  «Sì, sembra un fantasma 
                    a quest’ora». 
  «Una carcassa di nave». 
                    
                  Luce in specchio e maniglia.       Ma 
                    nell’opaco fondo dell’armadio, 
                    come stipato in sé ravvolto 
                    e inanimato, accatastarsi in pieghe 
                    di candido bucato, 
                    a liste a rullo a serpentina 
                    contro il secco compensato 
                    maleodorante a scaglie scricchiolante, 
                    come bardato a festa 
                    e preservato intatto nel tragitto 
                    fermo rinchiuso in cellofàne 
                    contratto, 
                 spoglia substrato palafitta 
                    di formule e figure vane 
                    di replicati modi di gincane, 
                    vuoto involucro 
                    rugoso palloncino sgonfiato 
                    intonaco crollato                  manto 
                    senza scorie disossato, 
                    di sé pago e contento, che… 
                 ma libra al vento 
                    gonfia sbuffa si attorciglia 
                    mostro grifo girandola aquilone 
                    panno chiglia di fantasma, 
                    latte pallido perlato 
                 bianco luce, 
                    in cera      molle corpo 
                    preso e lasciato. 
                    
                  «… l’impegno, nell’affidarle 
                    la nuova gente, il monito, 
                    l’esortazione del poeta: 
                    tempri dei baldi giovani 
  il confidente ingegno». 
                    
                  La tenda è secca 
                    per la polvere, 
                    dai vetri sporchi 
                    la luce passa sui muri 
                    pieni di crepe. 
                    
                  «Mi chiedo a volte 
                    cosa stiamo a fare». 
  «Sembra che ti scappi 
                    quello che credevi di trovare». 
                    
                  (… sed lex. La disciplina 
                    è dunque indispensabile. 
                    Se i soldati non obbedissero 
                    sul campo al generale, 
                    la sconfitta nel caos 
                    sarebbe inevitabile.) 
                    
                  Le lampade pendono giallastre 
                    dal soffitto 
                    e i banchi sono zoppi 
                    con i piani tutti segnati. 
                    
                  «… il senso è cogliere 
                    staccare, strappare. 
                    Si dice di fiori e di frutti, 
                    di api che succhiano il polline. 
                    Di chi si gode la vita 
                    ma anche ne è consumato. 
                    Trascrivete, in margine, le voci: 
                    carpo carpsi carptum carpere». 
                    
                  «Ti viene voglia d’essere 
                    in altri posti, intanto». 
  «… che tutto corra 
                    e passi, per te, d’un tratto». 
                    
                  Le ragnatele coprono 
                    le griglie polverose 
                    dei grandi termosifoni 
                    arrugginiti. 
                    
                  «Parlare di ciò 
                    che sempre è stato detto». 
  «Di libri che, poi, 
                    nessuno ha letto». 
                    
                  «… no, che non basta. 
                    Non siate pigre. Tema: 
  Facendo ogni opportuno 
  riferimento…». 
                    
                  … sono tutti d’accordo 
                    che il mondo è cambiato 
                    e che lo studio è diventato 
                    il problema numero uno 
                    per la gioventù. 
                    
                  Oggi, con le macchine 
                    e col progresso della scienza, 
                    l’ignorante è spaesato 
                    nella civiltà moderna… 
                    
                  … di noi 
                    quando saremo grandi, 
                    cosa faremo mai 
                    che cosa non faremo. 
                    Il tempo stringe sempre più. 
                    
                  … per ritrovarci un giorno 
                    a nostro agio, spero, 
                    nel mondo in cui vivremo. 
                    
                  «L’ho visto ieri 
                    uscendo, sai, da scuola». 
  «Lo saluti, lo fermi, 
                    ci scambi una parola». 
                    
                  A terra, involti scuri 
                    di lana e di capelli 
                    levitano ad ogni passo 
                    lungo le pareti. 
                    
                  «Non mi riesce con loro 
                    di fare mai un discorso ». 
  «Ognuno si tiene per sé 
                    i suoi pensieri». 
                    
                  La lavagna è ripiegata 
                    contro il muro. 
                    Il nero della lastra 
                    non è più netto 
                    e una polvere di gesso 
                    sta sui bordi. 
                    
                  Polvere pulvis polvere, 
                    nembo di polvere. 
                    Polvere su cui tracciare 
                    il segno labile. 
                    In solem et pulverem 
                    producere doctrinam. 
                    Polvere ed ombra. 
                    Pungere levigare scuotere 
                    dal cono di luce in fermento 
                    al mescolarsi intorno 
                    nell’apertura della porta. 
                    Molestia e peso lasciati 
                    all’alito dell’aria riscaldata. 
                    In polvere il granello 
                    che fu il principio. 
                    In polvere il granello 
                    che inceppa il meccanismo. 
                    
                  «Appare strano, capisco 
                    come sia, e un senso di noia 
                    vi prende alla lettura. Ma 
  è solo questione di tempo, 
                    sì, parola mia…». 
                    
                  Nell’ombra dell’aula 
                    dietro alle altre, nel fondo, 
                    si pettina e ride. 
                    
                  «Pensavo che solo a me 
                    accadessero certe cose». 
  «Finché qualcun’altra 
                    non te lo dice». 
                    
                  «Che c’entra! Il punto, 
                    affronta la questione 
                    e dai dati che hai in mente 
                    componi il quadro esatto 
                    della situazione» 
                    
                  (… fattore decisivo 
                    per la formazione, sempre, 
                    del carattere morale. 
                    Il giovane discente 
                    rifletta e non sottragga sé, 
                    nel processo educativo, 
                    al contributo 
                    che è essenziale.) 
                    
                  «Sta’ a casa. È meglio. 
                    Dov’è che vuoi andare?». 
  «Dove mi pare». 
  «Guarda di non pentirti, 
                    qui ti vogliamo bene». 
  «Questo, che c’entra». 
  «Fuori il mondo è cattivo 
                    tu che ne sai…». 
  «Voglio vederlo io». 
  «Qui non ti manca niente». 
                    
                  «Non sento cose simili 
                    a quelle degli autori». 
  «Forse è gente strana, 
                    lontana troppi secoli da noi». 
                    
                  Scrivono in fretta qualcosa 
                    sul quaderno e insieme 
                    lo rileggono ridendo. 
                    
                  «… ogni intenzione, la volontà, 
                    nell’imminenza di un accadere. 
                    Anche destinazione, necessità. 
                    Capite? At tamen fiet 
                    quod futurum est». 
                    
                  Le appoggia il mento 
                    sulla spalla e ride ancora. 
                    L’ombra è più fitta 
                    durante la lezione. 
                    
                  Dal panno dall’ombra 
                    impercettibile procede, 
                    appiglio e spettro 
                    indizio parvenza lieve, 
                    la larva lattiscente 
                    di quello che sarà. 
                    All’ombra lasciarsi 
                    come in bilico 
                    da cui scorgere luce. 
                    Scuotersi riprendere 
                    nel lento stato di contatto. 
                    Dolce liquore elettrico 
                    linfa disciolta. 
                    Svolge e ravvolge sé 
                    spinge e rincalza 
                    lo scuro desiderio, 
                    il senso di un evento 
                    che non si compie mai. 
                    
                  «… la regola? Sì, vediamola 
                    intanto applicata e avrete allora 
                    fissata sul serio la lezione». 
                    
                  «So da come mi guarda 
                    cosa vuole da me». 
  «Mi basterebbe sentirgli dire,  
                    una volta, che è incerto». 
                    
                  Si intreccia i capelli 
                    e, abbassando lo sguardo, 
                    lascia cadere a intervalli 
                    la penna sul banco. 
                    
                  Padre potente 
                    arbitrio comando 
                    signore che prende 
                    che regge le fila 
                    che muove e sostiene 
                    dominio e licenza. 
                    Padre che è assente 
                    sole lontano 
                    ignoto mestiere 
                    enigma che incalza 
                    diverso e straniero 
                    limite termine fine. 
                    Padre splendente 
                    pensato e sognato 
                    tenuto soltanto per mano 
                    guerriero tornato 
                    per poco disposto a restare 
                    giocare parlare una volta 
                    babbo papà. 
                    
                  «È qui, studiando e 
                    imparando le regole del gioco, 
                    che avrete modo di sapere 
                    e di affermarvi nella vita». 
                    
                  «Non sanno che dire, 
                    un giro di poche parole». 
  «Ripetono ancora le frasi 
                    che ho sempre sentito». 
                    
                  «Non ci pensare. Stai solo 
                    male: sei stanca, sei esaurita». 
  «Ma se sto bene… Son 
                    cose mie. Falla finita». 
  «Tutte manie. Vedrai che 
                    basta una cura, ti passerà». 
                    
                  La madre sorride 
                    tra i giri di parole 
                    nel sole che di sera 
                    ristagna sulla polvere 
                    dei banchi. 
                    
                  «È tutta per la scuola 
                    la bambina». 
  «Vale per una donna, 
                    darle un’infarinatura». 
  «Prima di tutto, metto 
                    la disciplina». 
                    
                  Nell’aula fonda, 
                    dal gruppo incerto delle figure, 
                    si guarda in giro 
                    con aria di complicità. 
                    
                  «Sono ragazzi e vogliono 
                    certezze per il futuro». 
  «Vedrà anche lei 
                    se avrà dei figli mai». 
  «… non lo direi, ma 
                    sta benissimo 
                    con lei, glielo assicuro». 
                    
                  «Ė ancora una bambina 
                    Con quello che succede 
                    oggi nel mondo». 
  «Le ho detto sempre 
                    di non esporsi». 
  «Che non si metta in mezzo 
                    a certe cose». 
                    
                  Poche parole in fretta 
                    e un riso secco, 
                    mentre la luce annega 
                    inghiottita dal soffitto. 
                    
                  «È una questione, 
                    in fondo, di buonsenso. 
                    Dia retta a me: 
                    quello che conta, 
                    permetta che glielo dica 
                    io, è l’esperienza». 
                    
                  Madre matrice 
                    guscio da cui si spoglia 
                    il viscere 
                    vulva oscura caverna 
                    madreperlacea conchiglia 
                    fodero guaina. 
                    Madre matrigna 
                    nodo filo di ferro 
                    corda ritorta 
                    capo di gomena 
                    cavo canna filo di rame. 
                    Madre madrina 
                    palo a cui tiene la serie 
                    base puntello 
                    bacchetta che guida 
                    remo spranga timone. 
                    Annaspare nel filo 
                    tendere frangere 
                    districare l’involto. 
                    
                  «A che vale? 
  È un esercizio pratico 
                    del tutto naturale. 
                    Anche il solfeggio 
  è noioso ed uguale, 
                    ma se si vuole 
                    imparare a suonare…» 
                    
                  S’apre la porta 
                    ed entra un bidello 
                    con la circolare. 
                    
                  (… non solo garanzia 
                    di pace per l’Europa, 
                    suggello di eterna connessione 
                    di vite e di destini, 
                    in una storia sola 
                    e in una civiltà. 
                    Il sogno di Mazzini…) 
                    
                  «Che schifo, senza fame.  
                    Comunque, non mi piace». 
  «Mangia, che ti fa bene. 
                    Che avete fatto a scuola?». 
  «Quando… Stamattina? 
                    Niente, uffa. Una scemenza». 
  «Come niente. E stai composta. 
                    Sbuffa, sì, la poverina». 
  «Al solito, le stesse cose. 
                    Non mi va, non lo voglio». 
  «Manda giù, stai diritta 
                    Lo fai apposta? Più vicina». 
                    
                  «Che condizioni, allora? 
                    Come, quando, perché… 
                    Non puoi ignorare il modo 
                    e non sapere le ragioni». 
                    
                  La classe è buia: 
                    dai globi opachi 
                    le luci non scendono 
                    sospese su a mezz’aria. 
                    
                  «… magari 
                    anche più bello. 
                    Cercate, per capire, 
                    l’esatta formula di dire». 
                    
                  Apre il quaderno. 
                    Guardando la compagna, 
                    legge senza respirare. 
                    
                  «La vita è una palla: 
                    la immergi e torna a galla». 
                    
                  «La vita è vagabonda 
                    e va senza intenzione». 
                    
                  «La vita è acqua sporca. 
                    È tutto e non è niente». 
                    
                  Vita vivente    stato 
                    patente latente 
                    azione funzione 
                    diaframma del nulla 
                    dal nulla 
                    muscolo diastole. 
                    Vita vagante     stato 
                    incitante inibente 
                    azione ragione 
                    nesso catena 
                    muscolo sistole. 
                    Vita fluente     stato 
                    stagnante corrente 
                    azione scissione 
                    parte mischia miscuglio 
                    combinazione. 
                    
                  «Sa, il programma… 
                    C’è un piano superiore. 
                    Niente nasce da niente». 
                    
                  «Arrivederci, allora». 
  «Buongiorno, professore». 
                    
                  La fila degli attaccapanni 
                    rotti, nel lungo 
                    corridoio. Le carte 
                    e i mozziconi, a terra. 
                    
                  «Te ne sarai accorta, 
                    anche tu, che è strano». 
  «Piano piano, ti senti 
                    in parte, poi, così diversa». 
                    
                  Piena che porta 
                    che piega che smonta 
                    da sponda a sponda 
                    che cala che salta. 
                    Onda che prende 
                    che piomba e dilaga 
                    che versa che fonde 
                    che spande 
                    che dissipa avvolge 
                    congiunge. 
                    Galleggiando fluttuando. 
                    
                  «È un mare grande 
                    e ci si naviga ogni giorno». 
  «Finché non trovi 
                    un po’ di terraferma». 
                    
                  «Dai, sbrighiamoci 
                    che è tardi». 
  «È tardi, un corno! 
                    Con quello che ci aspetta…». 
  «Chissà che non sia assente 
                    qualcuno stamattina». 
                    
                    
                  All’infuori del corpo
                  «C’è, nell’uomo, una tendenza naturale ad allontanarsi  
                    dal corpo e a rimuovere da sé le sue funzioni». 
                    Jonathan Swift 
                  «Ha il nostro corpo questo difetto, che più gli si prodigano cure  
                    e conforti, e più scopre necessità e bisogni». 
                   Teresa di Lisieux 
                  «Sarebbe, quindi, 
                    tutto un grande errore». 
  «Non so se un caso o 
                    un piano superiore. Ma, 
                    certo, nel difetto e 
                    nel dolore». 
                    
                  L’ignoto arretra 
                    un passo e avanza 
                    all’infinito. 
                    
                  «O, almeno, l’impressione 
                    di un oblio… Che so, 
                    di un annegare». 
  «Che cada a fondo 
                    smarriti gli orizzonti, 
                    e corra via». 
                    
                  Pare che al mondo 
                    non ci sia una storia, 
                    che manchino contorni 
                    definiti, che tutto 
                    avvenga, da un certo 
                    punto almeno, per inerzia 
                    o per pressione di un vuoto 
                    che acquista moto e spazio 
                    nel procedere dei giorni 
                    fino a farsi pieno. 
                    
                  «Attento, si capisce, a 
                    dove vai. Segui la pista 
                    senza cedere agli abbagli. 
                    E non vale se sbagli, 
                    meno che mai nel noto. 
                    Perché il mistero 
                    vero è proprio in 
                    ciò che è a vista». 
                    
                  … se non si perde, 
                    neppure si conquista. 
                    
                  È vuoto è nulla 
                    il tuffo non finisce 
                    ombra da ombra 
           tiene 
                    il corpo non risale 
           voce dall’acqua 
                    spinge 
                    di sé ciascuno 
            stringe 
                    la parte che ne affiora 
                    e finge il resto immerso 
                    ne cuce i lembi 
                    ai bordi della falla 
                    ne immagina la forma 
                    che viene e non ritorna 
                    dentro sangue e fango 
                    in essere disciolto 
                    e su dal fondo 
                    solo capovolto 
                    nel più profondo 
            inter 
                    urinas et feces 
                    sotto una luce stanca 
                    per ferri e garze 
                    fuori a galla 
            nascimur. 
                    
                  Dentro lo spazio 
                    di teoria, 
                    identità (la mia?) 
                    risultanza 
                    quasi d’anagrafe. 
                    
                  Vita: stato di 
                    confusa situazione, 
                    tentata relazione 
                    tra un oggi 
                    invano organizzato 
                    e quel che ieri ha teso 
                    ineludibile tracciato. 
                    Strazio di gesti 
                    e di intenzioni, 
                    compromesso di parole 
                    vissuto e mai accettato. 
                    
                  (Non si vede né 
                    giovane, né vecchio, 
                    non sa se bello 
                    o brutto. Si 
                    avverte come ingombro 
                    oppure si scompare 
                    quasi del tutto.) 
                    
                  Controlli, indugi, 
                    attese a non finire 
                    prima di spiccare 
                    finalmente il salto. 
                    
                  … così, sul declinare 
                    andante, sul filo 
                    di quell’onda… 
                    
                  «Fino a scoprire 
                    che poi, di là, 
                    non c’è la sponda». 
                    
                  È la cancellazione 
                    progressiva delle 
                    presenze care o note, 
                    il conto che comincia 
                    a non tornare. Il 
                    margine sempre più 
                    sottile, man mano 
                    che si fanno falle 
                    e vuoti tra le file. 
                    
                  «Del resto, è 
                    naturale l’insoddisfazione 
                    che ti assale». 
                    
                  … per quello che 
                    hai pensato 
                    o nel ricordo 
                    del già stato. 
                    
                  (È che non ama 
                    gli squarci di natura 
                    se non da fuori 
                    del palcoscenico, 
                    da un giusto osservatorio 
                    almeno per il poco 
                    che si possa 
                    presidiato.) 
                    
                  «Quasi dovessi 
                    renderla migliore». 
  «Perché, in effetti, 
  è sempre deludente». 
                    
                  Nel senso della fuga 
                    e dell’assenza, del  
                    marcio e dell’oscuro, 
                    del regno perso 
                    appena conquistato, 
                    del porco che si gonfia 
                    ed è sgozzato, del 
                    mucchio di neve 
                    sciolta in niente. 
                    
                  (Ossessione di sporco, 
                    di viscido, di scuro. 
                    Dei ragni, ha orrore 
                    solo a vederli, 
                    degli insetti. 
                    L’idea di un contatto 
                    gli mozza il fiato, 
  è come se picchiasse 
                    contro il muro.) 
                    
                  «Capita a tanta gente. 
                    Con l’illusione, sì, 
                    o la speranza 
                    di una soluzione». 
                    
                  Si incontra a volte 
                    uno di quei passi: 
                    tunnel, corridoio 
                    tra il dentro e il fuori 
                    tra il pieno e il vuoto. 
                    Pozzo, cono di vulcano, 
                    precipizio. Gola, così 
                    pare almeno, di frontiera. 
                    
                  … lo sguardo fisso 
                    nell’ignoto, il tono 
                    abbandonato, lo scatto 
                    incontrollato di un 
                    labbro rosso vivo 
                    sul volto di cera 
                    poggiato sulla mano. 
                    
                  Un soffio che respira 
                    su ogni cosa, 
                    una condensa di 
                    fiati e di sostanze 
                    in decomposizione, 
                    un alito di morte 
                    che si posa 
                    in lenta umida lievitazione. 
                    
                  «Guardi, sarà 
                    come lei dice. 
                    Comunque, ci si annoia». 
                    
                  (… nonostante l’ambiente 
                    gli faccia preferire 
                    discrezione e gli 
                    abbia imposto quel tanto 
                    di buon gusto, 
                    vizi borghesi.) 
                    
                  La cosa fastidiosa 
  è che accada anche 
                    quando non ci siamo 
                    e, presi intanto 
                    dentro un’altra storia, 
                    non ce ne accorgiamo. 
                    
                  (Lo sa, gli piace 
                    — sarà il suo modo 
                  tutto di testa — 
                    che lei tenga le scarpe, 
                    almeno una, questa 
                    col tacco a punta 
                    che si porta dietro: 
                    toccarla, intanto, 
                    sentire che lo calpesta.) 
                    
                  È un senso strano… 
  «Dai, gratta 
                    con gli artigli!» 
                    di presa e di potere 
                    sopra di lei 
                    nel suo tenerlo in mano. 
                    
                  Lo stato di piacere 
                    in cui, da fermi, 
                    si segue con lo sguardo 
                    qualcuno in movimento 
                    più lontano. 
                    
                  Col gusto, sì, 
                    col tatto e con la 
                    vista, con tutta la sua 
                    testa, mani e labbra 
                    e pelle… insomma, 
                    con il corpo ma 
                    all’infuori del suo 
                    corpo. 
                    
                  (Uniti, ancora 
                    e sempre, sulla scena 
                    che si avvera. 
  È dal dottore 
                    con cui tradisce 
                    suo marito. 
  È la cameriera 
                    con cui se l’intende 
                    quando è uscita 
                    la signora. 
                    Incline, lui, e 
                    pronta, lei, insieme 
                    a recitare la commedia.) 
                    
                  È la parte detta 
                    e, dicendola, violata 
                    quella che conta. 
  È ciò che è consacrato 
                    a farsi per istinto 
                    l’oggetto bestemmiato. 
                    
                  … morde, la tigre, 
                    e graffia. La lingua 
                    che scivola via. 
                    
                  Ti voglio mia, 
                    fedele a me in 
                    assoluta dipendenza. 
                    Disporre di tutta 
                    la tua vita, 
                    senza misura. 
                    Anche se è contro 
                    la ragione, anche 
                    se sento che è 
                    un inganno, per paura, 
                    e una violenza. 
                    Sia quel che sia. 
                    
                  Sarà il disturbo 
                    di qualche interferenza, 
                    effetto dell’amore 
                    che non può prendere 
                    del tutto, ma che 
                    impedisce di lasciare. 
                    Necessità di presidiare 
                    un fianco, con la 
                    conseguenza di 
                    tenere senza essere 
                    disposti per intero 
                    ad aderire. E, poi, 
                    il peso scettico 
                    di fronte all’evidenza 
                    che ti assale, che 
                    comunque e sempre 
                    sia destinato tutto 
                    a finir male. 
                    
                  «Si può riuscire 
                    a scriverla, sì, a 
                    trovarla… la verità 
                    presunta delle cose?». 
                    
                  Il cavaliere bianco 
                    alto, distaccato 
                    singolare. 
                    
                  Accade senza piani 
                    per una somma 
                    incalcolabile 
                    di forze in campo, 
                    la sorpresa, la chance 
                    di un altro corso, 
                    la discesa da spazi 
                    più lontani, 
                    l’intersezione 
                    nello stesso punto. 
                    Ma sempre senza 
                    il tempo o il modo 
                    neppure di 
                    attaccar discorso. 
                    
                  (È un posto, questo, 
                    in cui è già stato 
                    e in cui sarà 
                    chissà quante altre volte. 
                    Se non ci fosse lei, 
                    sarebbe un’altra 
                    a fargli eco. 
  È, qui, la soluzione 
                    magari anche imprevista 
                    cinica e crudele, 
                    nell’ammissione che 
                    la scena possa 
                    mutare le comparse 
                    e che si dicano 
                    con eguale convinzione 
                    le stesse cose 
                    a più persone.) 
                    
                  «Sembrava tale che, 
                    non so, per sempre… 
                    decisiva». 
  «In una, avresti 
                    detto, eterna 
                    connessione». 
                    
                  Andando, si ribalta 
                    — è noto — la prospettiva. 
                  E, stando fermi, 
                    sfuggiva in pieno 
                    che è una questione 
                    solo relativa. È 
                    il moto, sì, che 
                    mette in relazione 
                    con le cose e… fa 
                    presenti le distanti 
                    e le vicine subito 
                  vacanti. 
                    
                  (È all’improvviso, 
                    dentro al tunnel 
                    nell’aria morta 
                    che pizzica alla gola. 
                    Tutte le volte 
                    che c’è già passato… 
                    Eppure, no, non vale. 
                    Che lo ricordi, 
                    lo anticipi una sola. 
                    Picchia nel muro 
                    e lì si rende conto, 
                    dentro il percorso 
                    cieco e uguale  — specchio di sé 
                  a una sua spoglia —, 
                    di ciò che è stato 
                    di come, in fondo 
                    e contro ogni sua voglia, 
                  lui sia cambiato.) 
                    
                  Così, spontaneamente, 
                    pretende ognuno 
                    di ritrovarsi al posto 
                    che non ha. La parte 
                    che gli è data dilegua 
                    di fronte a quella 
                    immaginaria. 
                    
                  … il carico soave. 
                    Precipita però, la piuma, 
                    come piombo nell’abisso. 
                    
                  All’improvviso, l’idea 
                    di un vuoto, senza moto, 
                    del nulla, dell’assenza 
                    di un segno o di una traccia, 
                    agghiaccia il sangue e 
                    fa tremare mani e voce. 
                    Nel punto estremo e, 
                    ormai, non più lontano: 
                    alla foce del fiume, 
                    a un passo, ad una spanna 
                    dalla frontiera, chi c’è 
                    o cosa… che mi salvi 
                    dal salto, dalla condanna. 
                    
                  «Così, dall’alto 
                    scesi a un compromesso». 
  «Col sogno dell’accordo 
                    in perfezione». 
                    
                  Eppure, intanto, 
                    arresi all’evidenza 
                    di andare navigando 
                    alla deriva. 
                    
                    
                    
                    
                    
                    
                    
                    
                  
                    
                    
                   
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